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Dell'uso del procedimento disciplinare: lettera aperta a Eugenio Calvi

di Patrizia Adami Rook, pubblicato il 25/05/1999, fonte Simposio n° 11, Primavera 1999

tag: procedimento disciplinare, codice deontologico, ordine degli psicologi

Dopo quasi cinque anni dalle mie dimissioni dalla carica di Consigliere dell’Ordine della Toscana e dalla prima delibera di apertura di procedimento disciplinare che immediatamente quello stesso Ordine emise nei miei confronti, prima di una lunga serie (ormai ho perso il conto!) di altre delibere siffatte con le quali il Consiglio provava e riprovava a procedere contro la mia persona (senza peraltro riuscirci, almeno finora, perché inibito in tale intento dal Tribunale di Firenze), decido di rompere la infruttuosa discrezione con la quale ho ritenuto fino a questo momento di dovere trattare una questione che potrebbe ancora attendere se riguardasse solo me o, come si è voluto far credere, conflitti prettamente personali tra me e questo o quel membro di questo o quel Consiglio. Ma non è così.

Tutti, psicologi e no, debbono sapere che una congiuntura di fatti, ovvero una piccola vacatio legis (56/89) la mancanza (a tutt’oggi!) dell’emissione da parte del Consiglio Nazionale di un regolamento procedurale per l’applicazione del Codice Deontologico valido su territorio nazionale e certa autonomia gestionale, garantita ai Consigli Regionali dalla Legge stessa, rende possibile a questo o quel Consiglio di farsi all’occorrenza… i giudizi in casa, così da trasformare un delicatissimo istituto come quello del procedimento disciplinare in arma impropria nelle mani di chi volesse, per ragioni non propriamente istituzionali, ma… diciamo…politiche, approfittarne oppure, ma stento a crederlo, che lo facesse senza rendersene conto, per pura ignoranza di quanto compete più che alla psicologia al campo del Diritto.

Perché se l’art. 26 della legge 56/89 recita che, all’iscritto nell’Albo che si renda colpevole di abuso o mancanza nell’esercizio della professione….o che comunque si comporti in modo non conforme alla dignità o al decoro professionale… possono essere inflitte da parte del Consiglio Regionale o Provinciale dell’Ordine varie sanzioni disciplinari… (dall’avvertimento alla radiazione dall’albo) nulla dice quell’articolo, né altri articoli della nostra Legge, come si debba procedere quando l’iscritto all’albo che si renda (o si presume che si sia reso) colpevole ecc. sia anche membro di quel Consiglio a cui dovrebbe essere deferito e che dovrebbe giudicarlo!

Potrebbe essere lo stesso Presidente o Vicepresidente o Segretario… oppure, come fu nel mio caso, un ex Consigliere, ex da qualche ora, in quanto dimissionario per avere voluto dissociarsi senza equivoci di sorta, da certo operato di quello stesso Consiglio, in particolare di uno dei suoi membri (quello che poi chiederà l’apertura del procedimento!).

Parrebbe ovvio che anche in mancanza di una normativa specifica, dato che in questi casi un principio generale del Diritto come quello della terzietà dell’organo giudicante rispetto a chi dovrebbe essere giudicato, verrebbe comunque leso, (e a tutti salta agli occhi quanto sia facile, attraverso l’istruzione di procedimenti da farsi poi … in casa, trasformare un compito istituzionale in…. altro tipo di compito, magari quello di tacitare un collega politicamente troppo scomodo oppure quell’utente che avesse avuto il cattivo gusto di mettere in imbarazzo il Consiglio denunciando per abuso o mancanza ecc. qualche suo membro) il massimo impegno avrebbe dovuto essere posto per ovviare a quella mancanza. Perché non si è guardato a quello che si fa in questi casi in altri Ordini professionali? Per esempio quello degli Avvocati che forse si intendono di Diritto un poco più degli Psicologi e che, quando l’incolpato o l’accusa o, peggio ancora, tutti e due fanno parte dello stesso Consiglio che dovrebbe giudicare, deferiscono la causa al Consiglio viciniore.

Gentile Presidente, converrà con me che è ben difficile fidarsi di un Ordine e di un Codice se il secondo può essere usato dal primo in modo, tanto per fare un esempio, da arrivare de plano a infliggere sanzioni a qualcuno dei sui stessi membri che, guarda caso, si trovi all’opposizione. E ancora più difficile è fidarsi quando la richiesta di apertura di procedimento disciplinare nei confronti di quel membro sia stata fatta da un altro membro dello stesso Consiglio, facente parte, guarda caso, della maggioranza!

E ancora, gentile Presidente: chi si fiderebbe di un Consiglio che si pretendesse neutro e deontologicamente ineccepibile come organo giudicante quando, prontamente archiviasse la denuncia pervenuta da un qualsiasi utente nei riguardi di un suo membro (mettiamo… il vicepresidente) restando sordo a qualsiasi richiesta, di quell’utente di trasferire la causa ad altro Consiglio?

Gentile Presidente, so per averlo letto pubblicato su Psicologia Toscana n. 1 del 1999 che il Segretario del MOPI, le aveva comunicato di considerare degno di attenzione disciplinare certo comportamento tenuto con gli studenti del corso di laurea di Psicologia da parte di un professore (e Presidente di un Ordine regionale) che faceva circolare tra gli stessi un volantino (scritto da altro membro dello stesso Ordine) oltremodo polemico e denigratorio non solo nei confronti di tutte le istituzioni pubbliche (MURST, TAR, Consiglio di Stato, Governo) delle quali egli non condivideva certe decisioni prese nei confronti della categoria degli psicologi, ma anche di quelle private, ovvero Istituti di formazione diretti da psicologi e psicoterapeuti presentati come poco meno che covi di ladroni.

So anche che Lei ha risposto di non individuare in quel comportamento niente di sindacabile sul piano deontologico, ma anzi di considerarlo addirittura lodevole (in quanto stimolante dello spirito critico degli studenti) al punto di accingersi a metterlo in atto Lei stesso nel Piemonte.

Io rispetto la sua opinione anche se assolutamente (e speriamo che almeno questo mi sia consentito di esprimere senza dovermi ritrovare ad impugnare l’ennesima delibera di apertura di procedimento disciplinare da parte del solito Ordine Regionale!) non la condivido.

Ma poniamo il caso, che invece Lei o altri al suo posto avesse individuato in quanto segnalato dal Dott. Ciofi gli estremi per voler approfondire un po’ di più la questione, aprire un’istruttoria se non altro per quanto riguarda qualche passo degli art. 3, 22, 33, 36 del Codice Deontologico (alla cui redazione io stessa presi parte, invitata, insieme ad altri rappresentanti di associazioni di categoria, dal Consiglio Nazionale).

In quel caso il Presidente di cui sopra e l’altro membro del Consiglio firmatario del volantino, stando al già citato art. 26 della Legge 56/89 avrebbero dovuto essere deferiti in pratica a…. se stessi.

E poniamo anche un altro caso, gentile Presidente, l’ultimo, ché non voglio rischiare di tediarla oltremodo dilungandomi nella misura in cui potrei e magari avrei voglia di fare. Poniamo il caso dunque che un Ordine Regionale decida di perseguire disciplinariamente con un motivo X non uno, ma molti dei suoi iscritti, e anche iscritti ad altri Ordini professionali, e anche persone non iscritte a nessun Ordine, tra i quali vari accademici, diciamo tutti quelli che fanno capo a certo istituto privato di formazione in ambito psicologico, insomma di fare una specie di… retata, mi consenta la battuta, e notifichi il procedimento non già individualmente nel rispetto dei principi generali in ordine alla tutela della privacy e di quelli specifici del segreto istruttorio, bensì con una notifica “di gruppo”, ovvero spedendo ad ognuno la lista completa di tutti (tra incolpati, segnalati ad altri Ordini Professionali o alla Procura, più o meno una settantina) in modo che ognuno sappia di tutti gli altri….

Ora, a prescindere dai motivi (non poi così difficili da indovinare!) che avrebbero ispirato la messa in atto di una procedura tanto stravagante, potrebbe allora accadere che qualcuno di quegli incolpati, denunciati, segnalati ecc. prima ancora di entrare nel merito degli addebiti e della difesa, volesse comunque sottoporre ad attenzione disciplinare (ma di chi?) i responsabili della suddetta procedura. Egli si ritroverebbe nell’imbarazzo della scelta tra:

  1. rivolgersi allo stesso Consiglio che per incolparlo, aveva attuato la procedura in questione, chiedendogli fiducioso che istituisca una commissione atta a giudicare se stesso o parte di se stesso;
  2. conscio dell’assurdità del proponimento di cui sopra rinunciarvi e apprestarsi con filosofia, o per meglio dire, amore del quieto vivere (ma riuscirà poi davvero a vivere quieto?), a subire un’ingiustizia comunque assai lesiva della propria dignità e immagine professionale.
  3. Impugnare la delibera famigerata di fronte al Tribunale ordinario e intraprendere una battaglia giudiziaria che anche in caso di vittoria gli costerà denaro, energie, tempo e forse anche la salute fisica, visto che niente potrà impedire a quel Consiglio, quand’anche il Tribunale gli desse torto e annullasse la delibera impugnata, di emetterne subito un’altra, non importa se viziata o meno, e a rischio di venire nuovamente impugnata e annullata, perché per un’istituzione che legittimamente spende i soldi dei suoi iscritti e non impegna energie vitali delle singole persone, ma solo quelle professionali dell’Avvocato dell’Ordine (pagati anch’essi con i soldi degli iscritti) quel gioco, quando ci sia l’interesse politico di perpetuarlo, può continuare anche per anni senza riverbero alcuno all’interno della categoria, senza che l’Ordine Nazionale, anche se informato, debba (o voglia?) intervenire, insomma senza che…. nessuno batta ciglio.
E allora non possono non sorgere in chiunque sia fornito di mente ragionante e non si ritenga, come Lei ebbe a dire una volta, un suddito, domande abbastanza inquietanti. Forse che la questione giustizia disciplinare non è da considerarsi di rilevanza nazionale, tale da ricadere, per l’art. 28 comma 6 d legge 56/89 nelle competenze dell’Ordine Nazionale? E perché tanto disinteresse da parte dell’Ordine, riguardo a quello che, a prescindere dal fatto che sia o no realmente più volte già accaduto, potrebbe comunque accadere in qualsiasi momento? O si tratta non già di disinteresse, ma di… interesse?

Basta così, gentile Presidente. Io ho detto abbastanza. Non mi aspetto una Sua risposta, ma, per la stima che ho di Lei, al di là dei divari politici, chissà se insanabili o no, conto sul Suo massimo impegno a trovare la corretta soluzione a un problema che non può più attendere di essere risolto: troppi anni sono già passati, e troppi casi come quelli che Le ho citato sono già successi. Altri ne succederanno negli anni a venire. Con conseguenze ovvie in quanto alla credibilità dell’Ordine degli Psicologi quale organismo garante di giustizia disciplinare per tutti gli iscritti e per tutti gli utenti.


Llettera aperta inviata dalla nostra dirigente Patrizia Adami Rook a Eugenio Calvi, Presidente dell’Ordine del Piemonte, coordinatore dell’Osservatorio permanente sul Codice Deontologico degli Psicologi Italiani.

Per correttezza informiamo i lettori che il Dott. Eugenio Calvi, con sollecita risposta, mi informa dell’esistenza, fin dal febbraio 1998, di un regolamento (che mi allega) emesso dal Consiglio Nazionale e che, a suo parere, dovrebbe contenere adeguata soluzione al problema da me posto. Tale regolamento non è però mai stato pubblicato, né reso in qualche modo visibile agli iscritti, né si può capire se l’adozione dello stesso sia mai stata resa obbligatoria (e quale sia la ragione nel caso in cui ciò non sia stato fatto) ai Consigli Regionali. Né mi pare, ad una prima lettura (che mi riservo di approfondire e di darne pubblica relazione), che detto regolamento, definito dallo stesso Dott. Calvi discutibile sul piano della legalità (ma si può ammettere che gli psicologi, in materia disciplinare, sottostiano a un regolamento discutibile sul piano della legalità?) possa rappresentare una soluzione soddisfacente al quesito da me posto, riguardo… la legalità, appunto, di certe procedure e l’uso politico del procedimento disciplinare che dette procedure finirebbero non solo per rendere possibile, ma anche per avallare.



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