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Sistema professionale e velocità competitiva: memorandum per un futuro Governo

di Angelo Deiana, pubblicato il 03/01/2006, fonte CoLAP News

tag: riforma professioni, associazioni professionali, ordini

In un’epoca come la nostra, i meccanismi di sviluppo economico e di accelerato cambiamento impongono la sperimentazione di strade diverse per crescere ed assicurarsi orizzonti significativi di competitività. Tutto questo in un contesto sempre più complesso che richiede alti livelli di conoscenza e flessibilità per i singoli professionisti e strutture organizzative versatili in grado di garantire la completa integrazione dei servizi offerti. Tale necessità è tanto più determinante se considerata nell’ottica della necessità di rinnovamento del nostro sistema professionale, nell’ambito del quale hanno contribuito a diminuire la competitività del nostro Paese sui mercati:

- per quanto riguarda le professioni ordinistiche, una regolamentazione eccessivamente rigida e statica ed un regime di esclusive che ha largamente sottratto alcune attività professionali alle regole della concorrenza, senza peraltro garantire livelli minimi di tutela dell’utente/cliente;
- per quanto attiene alle nuove professioni, la totale assenza di regole finalizzate alla riconoscibilità sul mercato delle loro prestazioni qualitative.

A partire da tali considerazioni, l’obiettivo prioritario di qualsiasi processo di riforma dovrebbe essere quello di costruire un equilibrato sistema di regolamentazione duale, basato su attività professionali che debbono rimanere protette poiché ad esse corrisponde un interesse generale talmente significativo tale da giustificare una protezione (Ordini), e su attività professionali che devono essere esercitate in aperta concorrenza poiché, nell’ambito di tale configurazione di mercato, la tutela dell’interesse pubblico viene raggiunta attraverso una tutela puntuale del consumatore/utente (Associazioni riconosciute).

E, invece, nonostante le esigenze messe in luce dagli organismi comunitari circa la necessità di una forte liberalizzazione dei servizi professionali per aumentare la competitività dei Paesi dell’Unione, nel nostro Paese quasi tutti i disegni di legge di riforma della legislatura che sta finendo (in particolare quelli di origine governativa) hanno tentato di aumentare le esclusive professionali (attraverso il concetto di attività tipica), invece di ridurle e sviluppare la possibilità di concorrenza tra tutti i professionisti, regolamentati o meno. Dietro il paravento della ricerca di una riforma complessiva e della tutela dell’autonomia della prestazione intellettuale, le lobbies di chi vuole mantenere lo “status quo” (e, dunque, la propria posizione di vantaggio) hanno declinato proposte mirate solo alla chiusura ed all’arrocco, nell’illusione di poter mantenere posizioni monopolistiche e rendite di posizione e di rendere invalicabili i confini tra mercato internazionale e nazionale. E’ il grande problema del dibattito sulla riforma delle professioni: non si riesce a fare il salto di paradigma (per quanto piccolo e ad atterraggio morbido) e qualsiasi progetto di riforma legislativa innovativa (e, in particolare, la regolamentazione su base associativa delle professioni non regolamentate) trova strenue resistenze nella riaffermazione di un passato cristallizzato.

Tutto questo nonostante la competizione internazionale e la diffusione di nuove tecnologie dell’informazione stiano producendo cambiamenti sostanziali nel mercato professionale: l’eventuale incapacità di riformare il nostro sistema di regolazione potrà costituire, da qui a breve, un freno per i nostri professionisti nel competere con gli operatori stranieri che entreranno nei nostri confini nazionali e, quindi, un momento di frizione economica che ridurrà fortemente la nostra velocità competitiva sui mercati comunitari ed internazionali. E’ dunque arrivata l’ora, per il nostro Paese, di superare la logica delle professioni come dimensione unicamente artigianale, riformando il sistema nel suo complesso, riconoscendo le associazioni delle professioni emergenti, dispiegando correttamente strumenti competitivi come la pubblicità, ed introducendo la possibilità di costruire le società tra professionisti. Questi sono i passaggi cruciali per definire e configurare nuovi e moderni servizi professionali intellettuali. Il futuro Governo, nel ridefinire spazi e ruoli, dovrà operare tenendo in considerazione che è il punto di equilibrio tra tutela e mercato il cardine entro cui definire le modalità e le caratteristiche di azione. Sarà necessario tenere conto che la domanda di servizi professionali subito profondi mutamenti. Alla luce di questi dati e dell’evoluzione dei mercati, si dovrà tentare di analizzare l’attuale attribuzione delle riserve, fuori da una logica punitiva, ma sapendo che la difesa tout-court dell’esistente risulta non funzionale e non appropriata all’esigenza della domanda e appare solo come la mera difesa dei privilegi di alcune categorie.

D’altra parte, è universalmente riconosciuto che monopoli e oligopoli causano distorsioni economiche restringendo la capacità dell’offerta di dispiegarsi sul mercato e determinando, in tal modo, un prezzo maggiore per i clienti/utenti. E prezzo in molti casi vuol dire accessibilità o negazione della accessibilità al servizio, con la drastica conseguenza di escludere tutta la fascia più debole della clientela dalla possibilità di accedere a quelle prestazioni professionali. Non meraviglia dunque il fatto che la UE abbia basato la propria architettura economica sul concetto di concorrenza e sul contenimento del potere di mercato di monopolisti e oligopolisti. Fra l’altro, uno dei motivi (e non certo il minore per importanza) è il fatto che grande potere economico nelle mani di singoli soggetti (i professionisti con i loro soggetti esponenziali) significa anche grande potere politico nelle mani delle stessi. L’esperienza insegna, d’altronde, che l’investimento in potere politico dei detentori del potere economico provoca ineluttabilmente un ritorno economico nelle mani degli stessi, tramite leggi e provvedimenti a loro favorevoli.

In questo ambito, è fuori di discussione che, essendo assimilata l’attività professionale ad attività di impresa (la definizione comunitaria è chiarissima: “E’ da intendersi come impresa qualsiasi entità che eserciti una attività economica a prescindere dallo status giuridico e dalle modalità di finanziamento di detta entità”), essa è soggetta alle regole della concorrenza. E, se è vero che concetti come qualità, tecnologia, organizzazione stanno entrando ormai a far parte del patrimonio culturale e politico dei nostri professionisti, è forse è più difficile ma imprescindibile che gli ordini professionali accettino, sul piano della concorrenza, la proiezione verso un modello di impresa (che per diversi aspetti è già operativo per molti di loro). E’ indubbio, infatti, che la strada dello sviluppo del nostro sistema professionale e della conseguente competitività del sistema Paese passa per questo approccio regolato al mercato delle professioni: un approccio, avrebbe detto Tocqueville, basato su “pari condizioni di partenza” (selezione rigida ma concorrenziale in accesso) e dispiegamento concorrenziale dell’offerta professionale sul mercato (regolazione volta a raggiungere il punto di equilibrio tra offerta e tutela dell’utenza).

Tutto ciò senza dimenticare che il nostro sistema professionale è composto da professioni ordinistiche, da molte associazioni professionali (con le relative professioni) non riconosciute ma fortemente consolidate e organizzate, e da una serie di numerosissime attività di rilievo socio-economico, importantissime ma non ancora organizzate. Le riflessioni del futuro Governo per la fluidificazione dei processi economici ed un forte recupero della velocità competitiva per la nostra economia non potranno allora fare a meno di avere come stella polare di riferimento la necessità di considerare, riformare o valorizzare al meglio tutte le componenti del sistema stesso.



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