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Società libera propone l'abolizione degli ordini

Società Libera, 12/11/2006

L’abolizione degli ordini professionali rappresenta un’ottima chance, tanto più apprezzata nell’attuale congiuntura economica, per liberalizzare e rendere più efficienti una serie di attività oggi riservate e protette da interessi corporativi.

L’apertura al mercato e alla concorrenza avrebbe, infatti, un benefico effetto sul versante della crescita e dell’efficienza economica. Ancor oggi una serie di professioni sono arroccate sulla difesa ad oltranza degli interessi di categoria e rifiutano aprioristicamente ogni intervento legislativo che miri a ripristinare la concorrenza e che sia diretto a stimolare energie per il futuro del Paese.

Gli ordini professionali rappresentano, nei fatti, un tappo che frappone ostacoli burocratici e odiosi balzelli al libero esercizio dell’attività. In alcuni casi (si pensi ai giornalisti) la limitazione dell’esercizio dell’attività ai soggetti abilitati appare non solo inutile, ma addirittura arbitraria (poiché contrastante con la libertà di manifestazione del pensiero: art. 21 Cost.).

Lo sviluppo e la crescita di nuove generazioni di professionisti risulta impedita, o rallentata, a causa di divieti o di limitazioni eccessive. Quando si è provato a scuotere l’immobilismo in cui versano alcune categorie (si pensi agli avvocati o ai farmacisti), le novità legislative sono state rifiutate energicamente.

La stessa abolizione del divieto di farsi pubblicità è stata non solo osteggiata dalla categoria (avvocati che reclamano l’esclusiva sulla propria clientela), ma rischia di essere aggirata o, peggio, boicottata con nuove e insidiose regole deontologiche. La pubblicità, invece, se utilizzata nei limiti nel decoro professionale, rappresenta un eccezionale mezzo di penetrazione dei mercati (anche sovranazionali).

Gli stessi cittadini corrono il rischio di essere doppiamente penalizzati: sul piano della concorrenza, perché un mercato inefficiente significa costi più alti per poter accedere al servizio e rende difficile reperire alternative valide; sul piano dei rapporti col professionista, poiché quest’ultimo è sempre favorito, sia quando ha ragione e trova nell’ordine una sicura protezione sia quando ha causato un danno al proprio assistito.

Attraverso la soppressione degli ordini si dovranno assicurare le condizioni necessarie per portare i professionisti italiani a competere con i loro colleghi europei. Le corporazioni potranno essere sostituite da nuove organizzazioni spontanee aventi natura non obbligatoria (associazioni chiamate, in questo caso, a certificare in modo rigoroso la qualità e la preparazione degli iscritti).

Se non si attuerà questo programma di liberalizzazione e si cederà alla tentazione di mantenere il sistema attuale, si verificherà la tanto paventata invasione da parte della concorrenza straniera, poiché il nostro sistema non avrà ancora sviluppato gli anticorpi necessari per respingere la colonizzazione del mercato delle professioni.

L’abolizione degli ordini professionali rappresenta, insomma, un tassello fondamentale per contribuire a rimettere in moto quel circolo virtuoso, sul piano economico, a cui il Paese aspira. Una riforma fondamentale, che dovrà anticipare l’abolizione del valore legale del titolo di studio.

Tale provvedimento strutturale rappresenterebbe un incentivo per costruire un modello di istruzione non più basato sul valore legale del titolo riconosciuto dallo Stato, bensì sul valore culturale dell’Ateneo scelto.

Gli Istituti e gli Atenei italiani si trasformerebbero in un volano eccezionale per lo sviluppo, perché la bontà del percorso di studi e il rigore culturale degli organismi preposti all’insegnamento sarebbero immediatamente riconoscibili all’esterno (ad es. dalle imprese): in questo modo si favorirebbe l’affermazione dei meritevoli e si agevolerebbe l’accesso ai giovani nel mondo del lavoro.



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