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La psicanalisi non è una psicoterapia. Lettera aperta al Presidente dell'OPL, e a tutti gli psicologi che vogliano continuare ad esserlo

di Ettore Perrella, pubblicato il 05/11/2011, fonte Accademia per la Formazione

tag: psicoanalisi, psicoterapia, sentenza, cassazione, l. 56/89, grimoldi, opl

Sotto il titolo Cos’è la psicanalisi laica. Presa di posizione di OPL (Ordine Psicologi Lombardia) è apparso di recente, sulle pagine web dell’Ordine stesso, un intervento del suo Presidente Mauro Grimoldi. Che il Presidente di un Ordine abbia sentito il bisogno di prendere posizione sulla psicanalisi laica è senza dubbio significativo. La psicanalisi per Freud è “laica” perché non s’insegna e non s’impara all’Università. Freud ha insegnato psicanalisi all’Università (si veda la sua Introduzione alla psicanalisi), ma quelle lezioni erano destinate a persone esterne al campo della psicanalisi. È del tutto evidente che, per un Ordine di professionisti, che si formano all’Università – come gli psicologi –, e che include un elenco di psicoterapeuti, che si formano con corsi universitari o parauniversitari, per esercitare la psicanalisi bisogna essere abilitati (parola di Grimoldi). Quindi la presa di posizione è implicita. Perché, allora, esplicitarla? E che cosa teme l’OPL?

Molti – troppi – psicologi sono felici e contenti d’una sentenza della Corte di Cassazione che, dopo dieci anni in cui i tribunali italiani avevano saggiamente distinto la psicanalisi dalle psicoterapie – rispettando così il senso della legge 56 del 1989, che aveva istituito l’Ordine degli psicologi e l’elenco degli psicoterapeuti – ha deciso che invece la psicanalisi… è una psicoterapia.

Un tribunale ha il potere di decidere che due cose diverse sono uguali? Mi pare chiaro che no. E tutte le sentenze di questo mondo non possono far diventare quadro quello che è rotondo. Ma troppi psicologi – fra cui Grimoldi – hanno applaudito. Vorrei provare a mostrare perché, e con quali conseguenze.

Dalla sentenza intanto è conseguito che molti analisti (fra cui io stesso) hanno sottoscritto un Manifesto per la difesa della psicanalisi laica che l’illustre Presidente immagina di confutare nel suo articolo, firmandolo, fra l’altro, come Presidente, e non solo con il nome ed il cognome. Quindi la sua posizione è attribuita all’Ordine stesso, almeno a quello della Lombardia.

Tralasciamo pure il “sedicente” che Grimoldi attribuisce al Manifesto, forse perché crede che basti un aggettivo usato a vanvera per iniziare una confutazione. Come faccia un testo scritto ad essere “sedicente” mi risulta del tutto misterioso, dal momento che un testo ha il titolo che di solito gli dà chi lo scrive, mentre nessun testo ha la capacità di autonominarsi. Veniamo, invece, ai contenuti.

Ci sono due cose che nessuno può fare quando parla in vesti ufficiali, vale a dire a partire da una funzione pubblica:

1. dare dell’imbecille all’interlocutore, che del resto spesso fa parte dello stesso ordine di cui Grimoldi dirige una sezione regionale;
2. presumere di sapere quello che non rientra nella propria funzione.

Il buon Grimoldi, ahinoi, nel suo scritto “autorevole” ha fatto entrambe le cose.

Secondo lui, i firmatari del Manifesto richiederebbero un “divorzio fra psicanalisi e Legge” (ma quando mai la psicanalisi s’è sposata con la Legge?) e questa richiesta “appare alimentata da timori paranoici, anacronistica, ipostatizzata, personalistica e pretestuosa”.

Caro Grimoldi, Lei non ha nessun diritto d’attribuire una paranoia a nessuno, e tanto meno a degli iscritti al Suo Ordine, come sono io e molti altri firmatari di quel Manifesto. Potrei facilmente risponderLe con altri aggettivi, se proprio volessi qualificare clinicamente il Suo testo, ma me ne asterrò per decenza. Sappia comunque che il suo tentativo di far passare una legge per la Legge è caratteristico d’un riduzionismo (della Legge alla legge) che è proprio d’una categoria clinica che non è la paranoia... Mais passons.

Il vero problema è di capire come può accadere non solo che il Presidente d’un Ordine si esprima con questi toni da caserma, ma anche che molti psicologi abbiano plaudito alla sentenza della Cassazione, quando era evidente la falsità del suo presupposto, invece formulato candidamente da Grimoldi, con le seguenti parole: “La psicoanalisi non è nominata nella legge come nessuna altra prassi di cura della psiche, ma trova cittadinanza in un contenitore improprio, dai confini incerti, ma innocuo, quello della psicoterapia”.

Per capire che questo è totalmente falso basterebbe leggere le trascrizioni – accessibilissime via internet – delle Commissioni parlamentari che formularono il testo della legge 56, dalle quali è chiarissimo che la parola “psicanalisi” fu esclusa dal testo della legge proprio perché la psicanalisi era esclusa dalle psicoterapie. Ma nessuno – né gli psicologi né i giudici della Cassazione – si sono presi il disturbo di verificare quale fosse, allora, la “volontà del Legislatore”, come dicono i giuristi nei casi in cui le prescrizioni d’una legge non sono del tutto perspicue.

Come si spiega? Per quale motivo delle affermazioni che sarebbe facilissimo verificare vengono invece date per scontate? Di quale imbarbarimento è frutto quel delirio legalistico che pretende oggi di far rientrare la psicanalisi in un ambito che non le è mai appartenuto, e nel quale soffocherebbe, se i firmatari di quel Manifesto non continuassero a fare di tutto perché questo non accada?

L’ambito delle psicoterapie non è affatto “innocuo” come pretende il Presidente, perché le psicoterapie sono definite come cura (lo dichiara lui stesso), e quindi rientrano in un settore in cui il signore e padrone, con buona pace di tutti gli psicologi, è l’Ordine dei Medici. E non era stato Freud a dire che la formazione dei medici è esattamente contraria a quella che devono avere gli psicanalisti?

Il buon Grimoldi, invece, è felice e contento del fatto che molti Istituti per la psicoterapia, “d’ispirazione psicanalitica”, rendano obbligatoria l’analisi per i loro iscritti (naturalmente presso gli stessi sedicenti – stavolta per davvero – analisti che li dirigono). Come ci si può ispirare alla psicanalisi e nello stesso tempo servirsi d’un potere istituzionale per costringere qualcuno che crede d’aver bisogno d’un pezzo di carta a sborsare settimanalmente altri pezzi di carta, vale a dire, annualmente, parecchie migliaia di Euro? Non sanno i sedicenti analisti, ed il Presidente dell’OPL, che, se fosse vero che la psicanalisi è una psicoterapia, e se la psicoterapia è una cura, rendere una cura obbligatoria significa violare la Costituzione italiana? In effetti, grazie ad Aldo Moro, che vi fece introdurre un opportunissimo articolo, nessuno può essere obbligato a curarsi.

Quando si crede che una legge sia la Legge, si finisce sempre per trasgredire, con la seconda, anche la prima: è quel che fanno tutti i perversi del mondo. Loro sì che dovrebbero curarsi per legge, perché oggi si tratta d’un problema di salute pubblica, che trascende di molto l’esistenza dei poveri psicologi.

Nessuna legge può far diventare quadro quel che è tondo, né far diventare un’analisi una cura sanitaria. Ma – si potrebbe ribattere – non sono gli analisti stessi che hanno sempre detto che un’analisi ha effetti terapeutici? Certo, ma gli effetti non sono la struttura. Ed effetti terapeutici può avere qualunque parola, anche una chiacchierata col parroco o con il pizzicagnolo. E che diremo di tutti i genitori? Devono essere psicoterapeuti anche loro? E non forse proprio il fatto che troppo spesso lo diventano, perché non sono in grado d’essere padri e madri, a produrre effetti disastrosi nella clinica?

La struttura della psicanalisi non è affatto terapeutica, caro il mio Grimoldi, ma è formativa. E ben inteso non lo è in termini universitari, vale a dire con criteri uguali per tutti, ma individualmente.

Ergo, con il legalismo policier degli psicologi, che sta trasformando il loro Ordine in un organo di polizia, invece che in un organismo di promozione del lavoro, si sta tentando di soffocare né più né meno che la stessa cosa che gli psicologi, invece, dovrebbero sempre custodire: la libertà individuale di formarsi, e quindi di decidere e d’agire.

Questa politica non danneggia solo gli psicanalisti laici – che sono gli unici ai quali possa darsi sensatamente questo nome –, ma anche tutti gli psicoterapeuti e gli psicologi, ed infine qualunque formazione, anche la loro.

Se agli Ordini riuscisse la squallida operazione che stanno compiendo da anni, per di più senza nessuna consapevolezza dell’autocontraddizione in cui questo li mette, non sarebbero solo gli analisti a non poter più svolgere la propria funzione, nella formazione individuale, ma sarebbero anche gli psicoterapeuti e gli psicologi a non potersi più prendere cura di nessuno. Tutte le pratiche psico- non dovrebbero curare, ma prendersi cura. Se si fa il contrario, quello che si produce in due minuti è che la psicoterapia diventa un’appendice – “innocua”, come dice Grimoldi – della medicina.

Cari psicologi, è questo che volete? Diventare dei lacchè degli ospedali e dei primari? Proprio questo è il destino che vi state preparando, da quando pensate che indagare sull’esercizio abusivo della vostra professione faccia parte costitutivamente dei compiti del vostro Ordine.

Siete voi che allora, come dimostra chiaramente il vostro Presidente, almeno se vivete in Lombardia, volete esercitare abusivamente una professione ad esercitare la quale nulla vi ha preparati e sulla quale non avete nessuna competenza, come dimostra il fatto stesso che pensate che sia una psicoterapia.

Sulla psicanalisi non s’impara niente all’università, e nemmeno in nessun istituto parauniversitario per la formazione di psicoterapeuti. La psicanalisi non s’impara sui libri scritti dagli altri (anche se bisogna conoscerne moltissimi), ma interrogandosi ogni volta di nuovo su quello che si fa. E proprio per questo tutte le abilitazioni di questo mondo non possono che ostacolarla e alla fine trasformarla in quello che non è, facendo diventare uno strumento di formazione uno strumento di deformazione.

Sarà per questo che, come dice Grimoldi, il Manifesto è “sottratto alla dimensione del tempo”. Sì, senza dubbio lo è, se il tempo pretende di cancellare quello che facciamo, per far diventare anche noi analisti dei lacchè.



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