Iscrizione

Servizi

Archivio

Convenzioni


Diagnosi? No, grazie

di Franco Merlini, pubblicato il 02/04/2008, fonte Simposio, Anno 4, Numero 1, Aprile 2008

tag: diagnosi, psicoterapia convenzionata, luigi cancrini, medicina

Sul precedente bollettino di 'Altra Psicologia' si dava conto, dell'iter che il d.d.l. 'Cancrini' sta facendo e si segnalavano luci e ombre. Fra le une e le altre, la questione della diagnosi e della prescrizione, era rimasta, secondo me, un po' in penombra; sia da un punto di vista metodologico-clinico, che da un punto di vista politico-professionale. A distanza di qualche settimana invece il problema è letteralmente scoppiato e ha assunto toni molto forti.

Pur comprendendo perfettamente la situazione che si è venuta a creare, sotto il profilo professionale, vorrei, spero utilmente, portare un contributo, più di ordine metodologico, alla questione.

Inizierei col dire che purtroppo il previsto ambito di applicazione della proposta di legge è assai sfavorevole ad un dialogo sereno e fecondo sulle problematiche inerenti la 'diagnosi in psicoterapia'. Nel senso che è già di per sé una questione ostica (affrontata nelle scuole di psicoterapia, sulle riviste specializzate e in alcuni convegni) e il fatto che debba prevedibilmente trovare attuazione in Sanità la rende ancor più problematica. E' risaputo, tutta la Sanità pubblica funziona attraverso il momento della diagnosi e della prescrizione: là il paziente, è tale per definizione, riceve una diagnosi e gli viene prescritta una terapia. Quando le cose vanno bene, il paziente viene 'preso in carico' (che termine orribile) e messo in terapia con lo scopo di risanare quella funzione o quell'organo che si è ammalato.

Non mi interessa dire qui se questa prassi sia buona o cattiva (o anche solo necessaria), il fatto è che per noi psicoterapeuti le cose non vanno mica così. Per noi è inevitabile considerare il paziente come persona e nella sua interezza; è essenziale il suo coinvolgimento e la sua autodeterminazione nel dichiararsi soggetto di cura.

Quindi, chi, alla fine, deve fare veramente la diagnosi, il terapeuta o il paziente?

Il punto è che in Sanità, con la sua forte (e forse ovvia) caratterizzazione medico-tecnicistica, il suo impianto gerarchico funzionale e con tutte le sue preoccupazioni ragionieristiche, c'è poco spazio a considerazioni e a prassi di questo tipo. Teniamolo presente.

Intendiamoci, ben venga una 'Cancrini', e semmai si trovassero anche i soldi per applicarla, questa, certo non nuocerà agli psicologi, né tanto meno a chi finalmente si potrà servire di noi; quindi tentiamo di 'portarla a casa', ma diciamoci le cose come stanno.

Vedo che si propongono emendamenti tecnici, che si fa un gran discutere sul tipo di diagnosi che si deve fare (differenziale, psicologica…) e chi ovviamente la deve fare; giustissimo dal punto di vista politico, ma sul fatto che sia necessaria non si dice assolutamente nulla. Nessuno sembra chiedersi se serve veramente e a chi.

Sia medici che psicologi sembrano darla per scontata. Al di là delle rivendicazioni professionali mi meraviglia un po' questa 'passione' per la diagnosi da parte di noi psicologi.

La collega Valentina Sciubba sempre su 'Altra Psicologia' si da un gran da fare per sostenere la indispensabilità di una diagnosi che tenga conto 'della relazione, della soggettività del paziente, del contesto interattivo dell'individuo ecc. ecc.', benissimo, ma è almeno opinabile che 'qualunque psicoterapia che proceda senza almeno un'ipotesi psicodiagnostica, un'indagine e una diagnosi psicologica procederebbe alla cieca'. Lei stessa dice che 'la diagnosi è il primo obiettivo che il medico si prefigge poiché ovviamente gli è necessaria per poter impostare il trattamento terapeutico…', appunto il medico!

Anche strategicamente, non so se la diagnosi è per noi il terreno più favorevole per questo confronto con i medici. Mi spiace dirlo, ma credo che accettando questo livello di scontro sarà difficile che perdano loro. Proprio perché ancor prima che questione clinico-metodologica, la diagnosi è strumento di potere e di affermazione. E dove sta il potere?

Ne è un evidente esempio la 'lettera aperta' di Maurizio Mottola, in cui chiede, per conto della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, al Prof.Cancrini, di riservare la prescrivibilità della psicoterapia ai soli medici. Non è indifferente 'l'incipit' di Mottola su fantasiosi 'arrembaggi e continua erosione alla professione medica', e questo, per l'appunto, la dice lunga. Comunque, l'argomentazione su cui basa il suo supposto diritto è la seguente: supponiamo che 'un cittadino, ad esempio affetto da impotenza, si rechi dallo psicologo: quale garanzia ha che gli si diagnostichi che il suo disturbo non abbia una causa organica se dapprima la metodologia ed i relativi accertamenti di laboratorio inerenti una diagnosi differenziale non abbiano escluso la causa organica?'.

Da qui la necessità che sia il solo medico a prescrivere l'eventuale psicoterapia, appunto, previo diagnosi differenziale. Non sto neanche a commentare che sia l'inviante, dopo che ha fatto la diagnosi, a stabilire il numero di sedute.

Nell'esempio del paziente impotente (esempio curioso…) si insinua cioè il sospetto che possa esservi il rischio di sottoporre il paziente ad una terapia (psicoterapia) non idonea.

Molti sarebbero i modi per controbattere, contestare, sostenere che questo rischio di fatto non c'è, ma voglio, un po' provocatoriamente, sostenere che un rischio possa anche esserci.

Intanto, non sarà maggiore di quello di sottoporsi, nel caso in questione, ad inutili e invasive terapie mediche, tipo iniezioni nel pene (caso trattato dallo scrivente), invece che affrontare i veri problemi che hanno determinato l'impotenza.

E poi nessuno ha mai sostenuto che la psicoterapia sia esente da rischio, anche se qui il rischio è quello, lo dico con i filosofi, della propria verità di soggetto; in ogni caso nulla cui deve preoccupare la scienza medica, in quanto non oggetto di sua competenza.

E con questa iperbole torno da dove ero partito: 'è la psicoterapia prescrivibile?'.

Ovvero: quando mai una diagnosi è risultata determinante nel dar luogo ad una psicoterapia? Come tutti gli psicoterapeuti sanno, altre sono le ragioni che la possono attivare, motivare, sostenere.

Io non ho mai prescritto una psicoterapia, ovvero, spero proprio di non averlo fatto. E delle diagnosi, che proprio cerco di non fare, ormai ne sono certo, servono più a rassicurare i terapeuti più che a invogliare i pazienti. Per queste ragioni diffiderei di un paziente che volesse intraprendere una psicoterapia perché gli hanno fatto una corretta diagnosi e una prescrizione.

Cosa che invece già accade costantemente nei Servizi pubblici, quasi sempre ad opera di medici, e che a noi psicoterapeuti, che lavoriamo lì, ci tocca ogni volta 'smontare'.

E allora come si risolve la 'questione'? Semplicemente come si è sempre fatto, come ci hanno insegnato i nostri maestri, non c'è nulla di nuovo da inventare, perché: 'la psicoterapia la si da a chi la chiede'. Nei modi e nei tempi cui il soggetto è in grado di farne domanda.

A noi la competenza, la capacità e il compito di assumerla e di rispondervi.

Dunque perché correre dietro alla chimera della diagnosi?

E' evidente, come dicevo prima, che qui c'è lo 'snodo' politico, il problema della legittimazione professionale, l'autonomia della professione, l'esclusività e ancora molto altro, attenzione però a ricercare lì (nel far diagnosi) la nostra valorizzazione di psicologi.

Scendendo infine nel concreto, mi sembra evidente che sia lo psicoterapeuta, e soltanto lui, e in ragione della sua particolare formazione ed esperienza e per i suoi specifici training, (che può anche comprendere una competenza diagnostica) la figura professionale competente a 'trattare' la domanda di psicoterapia.

Forse qualche strumento normativo ce lo abbiamo già. Sto pensando ai Servizi di Psicologia ad esempio, al cui interno, operando degli psicoterapeuti, potrebbero fare alla bisogna; per soddisfare in proprio l'eventuale domanda o per destinarla a psicoterapeuti convenzionati se è il caso. Lo psicoterapeuta inviante, nei limiti di un regolamento aziendale, non dovrebbe preoccuparsi di fare diagnosi o prescrizioni (spesso meno si fa e meglio è) dovrebbe bastare dare al paziente…indirizzo e numero di telefono.

In fondo, come spero sia apparso, non è una questione di strumenti, ma, proprio riportando nell'alveo naturale ciò che è della psicoterapia, di uomini.



Cerca

Cerca tra i contenuti presenti nel sito


 

CSS Valido!