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Lettera aperta ai giovani psicologi
di Giorgio Piccinino, pubblicato il 03/04/2011, fonte AssoCounseling
tag: carta etica, professione, formazione, counseling
Cari colleghi, mi rivolgo soprattutto ai giovani psicologi, giustamente preoccupati per il fatto che dopo la laurea hanno notevoli difficoltà a trovare un lavoro adeguato alle proprie aspettative, mi sono sentito in dovere di intervenire per dare un punto di vista diverso da quello che sembra emergere da una parte del consiglio dell'Ordine (della Lombardia, n.d.r.) ed espresso nella lettera Carta Etica, un chiaro no alle linee guida ad personam.
Il problema sembra derivare dal fatto che diversi psicologi formano non psicologi e che numerose scuole divulgano (e questo sarebbe non etico) conoscenze psicologiche agli operatori delle professioni d'aiuto, i quali impadronendosi di un sapere non loro (?), ruberebbero il lavoro agli altri.
Ma proviamo ad andare con ordine e vedere un po' cosa sta succedendo in realtà.
Prima di tutto bisognerebbe dire che finché non ci saranno cambiamenti radicali nell'università italiana i neo laureati di qualsiasi disciplina non saranno mai in grado di operare, da subito, nel mondo del lavoro.
Mettiamoci su questo il cuore in pace: dopo la laurea serve per qualsiasi disciplina un apprendistato o un praticantato piuttosto lungo, oppure un'ulteriore specializzazione.
Come per diventare psicoterapeuti, tanto per intenderci, o selezionatori, o medici, o architetti.
I giovani psicologi sanno bene che la loro preparazione, così com'è stata la mia quarant'anni fa, è molto parziale e, a volte, nonostante i molti bravi docenti, risulta complessivamente scadente, nozionistica, schematica e per giunta spesso obsoleta. Dunque poco applicabile.
Come tantissime altre lauree, anche quella in psicologia, così com'è, non abilita certo a una seria professione d'aiuto.
E allora che fanno gli psicologi nei primi anni dopo la laurea?
Cercano corsi di tutti i tipi. Raccolgono un po' di competenze facendo stage e volontariato, a volte si inventano aperitivi psicologici o offerte speciali a dieci euro a colloquio, tanto per fare un po' di esperienza. Fanno seminari di tutti i generi, workshop a tema, corsi e corsettini spesso accavallando costellazioni e galassie varie di conoscenze sparse. Disperdendo in mille rivoli la loro formazione, peraltro auto organizzata e non verificata. I più arditi ed economicamente coraggiosi (o incoraggiati) si iscrivono alle scuole di psicoterapia, certo lunghe e costose, ma almeno con la speranza di acquisire una professione protetta e sicura.
D'altra parte sta emergendo negli ultimi anni una richiesta che gli psicologi non solo non intercettano, ma che, per di più, con la formazione universitaria che si ritrovano, non riuscirebbero comunque a soddisfare con competenza.
Mi spiace, ma anche questa è una cattiva notizia, che però i neo laureati con un minimo di consapevolezza conoscono già, e cioè che i laureati in psicologia non hanno la formazione per rispondere a una domanda d'aiuto sì numericamente crescente, ma anche qualitativamente esigente. Si tratta in genere di un aiuto temporaneo, e dunque poco costoso, circoscritto, immediato e fortemente orientato su obiettivi specifici. A volte si ha bisogno solo di supporto, altre di ascolto, altre ancora di capirci qualcosa per sapere dove andare e che cura fare.
E' qui che arrivano i counselor o i coach, i consulenti filosofici, o anche altre professioni d'aiuto similari o ibride, come sono del resto anche i sacerdoti di tutte le confessioni.
Questa è l'area di lavoro che, se gli psicologi vorranno, potrà diventare uno sbocco professionale serio. Naturalmente se accetteranno con umiltà di imparare ancora e di mettersi in gioco assieme a colleghi provenienti anche da altre facoltà che hanno tutto il diritto di svolgere professioni d'aiuto non psicoterapeutiche.
Del resto, come gli altri, anche i neo laureati in psicologia, come dicevo, per essere in grado di dare una risposta competente e responsabile a questa domanda, hanno bisogno di una specializzazione. In counseling, appunto.
Hanno bisogno di imparare metodologie e tecniche adeguate a tenere vari tipi di colloquio, a seconda della richiesta, a volte urgenti, altre diluiti nel tempo.
Hanno bisogno di fare un percorso di psicoterapia che gli consenta di raggiungere un buon livello di consapevolezza e un equilibrio personale necessario a non confondere le proprie dinamiche interne con quelle dei clienti.
Hanno bisogno di essere seguiti da insegnanti già competenti e con anni di esperienza, di essere osservati nel tempo e corretti lungo la strada.
Hanno bisogno di esercitarsi, di essere supervisionati in laboratori e tirocini, di essere anche valutati man mano e poi aiutati a superare le difficoltà che tutti incontrano in queste professioni così coinvolgenti, emozionanti e, non dimentichiamolo, a contatto con tutto il dolore del mondo.
Non è un iter formativo diverso da quello degli psicoterapeuti, è chiaro no?
Altro che formazione rapida, pratica e poco impegnativa.
Gli psicoterapeuti hanno solo da confrontarsi con un livello di gravità superiore e dunque con tecniche e metodologie a volte più articolate e regressive, ma per il resto la formazione è quella lì.
Tre anni per i counselor, quattro/cinque per gli psicoterapeuti.
Due specializzazioni per due professioni d'aiuto diverse per lo più per la gravità della condizione psicologica, e dunque per la durata della cura e le tecniche da utilizzare.
Mi sembra ben ovvio, dunque, che questi corsi siano oggi, in molti casi, emanazione di centri che hanno anche scuole di psicoterapia riconosciute da MIUR. Che abbiano fra gli insegnanti psicologi e psicoterapeuti è una garanzia di serietà, ovviamente, e di esperienza documentata, di anni e anni.
Altro che attività non etica.
La bella notizia è che esistono già diverse scuole in tutta Italia che da oltre dieci anni funzionano così e formano psicologi, medici, selezionatori, consulenti aziendali, formatori, educatori, assistenti sociali ecc. ecc.
Naturalmente non nego che esistano iniziative che offrono corsi brevi di counseling, ma se fosse solo per questo allora l'Ordine potrebbe creare una Carta Etica proprio anche alle scuole di counseling in modo da pubblicizzare quelle triennali raccomandate o accreditate dalle associazioni, indicandole agli psicologi.
Invito per questo i giovani psicologi a visitare il sito di AssoCounseling, non dico quello del Centro dove lavoro io, per conoscere dal vero la realtà e farsi un'idea della serietà di questa professione emergente.
Presto gli ordini non ci saranno più, le norme europee li vietano, e dunque per qualsiasi professionista l'unico supporto e l'unica protezione (ma non vi sembra più giusto così?) sarà la professionalità, l'esperienza sul campo, le pubblicazioni, le specializzazioni, le supervisioni e l'aggiornamento professionale, certificati.
Non è il privilegio dell'iscrizione all'Ordine a dare lavoro, tanto meno lo dà il titolo di psicologo, che come forse sapete, è anche piuttosto evitato in molti settori. Counselor, coach, consulenti, pedagogisti, mediatori familiari, educatori, personal trainer (?), formatori, consulenti filosofici, costellatori e chi più ne ha più ne metta, stanno cercando di intercettare, chi meglio e chi peggio, una domanda di aiuto che rischia di trovare proprio gli psicologi meno preparati.
Gli steccati non sono mai serviti a difendere nessuno dall'invasione dei barbari. Bisogna essere più bravi, tutto qua, e alzare il livello di specializzazione.
Come in tutte le professioni.
Aggiungo solo qualche altra informazione.
La prima: a fare formazione non si diventa ricchi, e nemmeno esercitando una professione d'aiuto, i più fortunati di noi dopo 30 anni di lavoro si sono conquistati una certa stabilità, ma l'accusa di arricchirsi attraverso i corsi di counseling è ridicola, segnala solo una notevole mancanza d'informazione.
La seconda: partecipando a un corso triennale di counseling ci si trova assieme a persone che lavorano da anni nel campo delle professioni d'aiuto, persone con un lavoro in ospedale, centri di riabilitazione, comunità, associazioni di volontariato, aziende, istituti di recupero, un lavoro che gli piace così tanto da volerlo fare sempre meglio e a cui non rinuncerebbero per nulla al mondo.
Non a tutti loro interessa diventare counselor professionista e infatti, dopo il corso, alcuni continuano a fare quello che hanno sempre fatto, mente altri svolgono a diverso grado la professione di counselor, ma allora devono essere iscritti alle associazioni e partecipare alle rigorose attività di aggiornamento e supervisione.
Sono persone stupende che hanno a loro volta moltissimo da insegnare ad un giovane laureato e, forse chissà, anche qualcosa di concreto da offrire.
Un caro saluto, e, come dice Steve Jobs, siate affamati e siate folli.
Un collega anziano
Giorgio Piccinino
Sociologo, psicologo, psicoterapeuta, analista transazionale certificato, partner Centro E. Berne, Milano