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AltraPsicologia, codice deontologico ed altre riflessioni
di Rolando Ciofi, pubblicato il 06/06/2011, fonte Mo.P.I.
tag: altrapsicologia, ordine professionale, enpap, corporazione
Sin dalla sua nascita, ormai oltre un decennio fa, ho guardato con una certa simpatia alla formazione di politica professionale, interna alla comunità degl psicologi, denominata AltraPsicologia. Simpatia che si è anche concretizzata in un appoggio disinteressato e da loro non richiesto ad alcuni candidati di quel gruppo alle ultime elezioni ENPAP ed anche in una oggettiva confluenza elettorale in occasione delle elezioni ordinistiche del consiglio dell’ordine degli psicologi della Lombardia. Parlo di oggettiva confluenza elettorale e non di accordo politico per amore di verità storica. Infatti ormai da tempo il MoPI non partecipa ad elezioni ordinistiche (che dal nostro punto di vista sarebbero contraddittorie con l’obiettivo di superare l’istituzione ordinistica stessa) ma lascia liberi i suoi iscritti di esprimersi a favore di chi ritengano più serio, più impegnato, più preparato. E in Lombardia molti nostri iscritti hanno appoggiato appunto questa formazione.
E’ legittimo dunque da parte dei colleghi chiedersi il perchè di questa simpatia, che peraltro non mi risulta particolarmente contraccambiata. Ecco dunque un breve elenco di tali motivi, che peraltro dal mio punto di vista rimangono ancor oggi validi nonostante lo scontro in atto nelle aule giudiziarie a proposito dell’art 21 del codice deontologico degli psicologi italiani.
1. Altrapsicologia è l’unica formazione professionale nel mondo della psicologia che a pieno titolo possa essere considerata “postfondativa”. In altre parole una organizzazione di psicologi che nulla hanno avuto a che fare con la nascita e la prima applicazione della legge 56/89.
2. Il gruppo dirigente di tale formazione è giovane, impegnato, fieramente corporativo, avvezzo all’uso delle nuove tecnologie nella comunicazione politica professionale e non indulge a facili compromessi.
3. L’immagine della psicologia che emerge dalle battaglie politiche di questa formazione è quella di una psicologia “scientifica”, centrata sulla clinica, protetta dallo Stato e dalla Legge, impegnata a difendere le proprie esclusive prerogative dagli attacchi delle orde di non psicologi cialtroni e impreparati.
Ora qualcuno che mi conosce bene e che conosce il mio pensiero relativamente alla politica professionale mi chiederà se sono diventato matto. Mi chiederà come io possa vedere con simpatia una formazione che risponde ai requisiti descritti. Bene. Non sono diventato matto ed illustro dunque il mio pensiero.
Credo che Altrapsicologia abbia dato voce e stia continuando a farlo, con tutta la potenza dei suoi mezzi di informazione, con l’onestà intellettuale che caratterizza molti dei suoi leader, con l’impegno e l’attivismo, ad una visione della politica professionale, chiusa, corporativa ed un pò “piagnona”, che è sempre esistita, sin dalla discussione attorno alla legge 56/89. La differenza è che mentre in passato tale visione veniva, a secondo dei contesti, negata, mediata, insomma non sbandierata, oggi viene rivendicata con orgoglio.
E questa è una conquista per l’intera comunità professionale poichè corrisponde alla certificazione che al nostro interno esiste una spaccatura chiara tra chi vede questa nostra professione verticalmente corporativa e chi invece la vede, ed io sono uno di quelli, orizzontalmente penetrativa nel tessuto sociale. Tra chi vede il rapporto interprofessionale secondo lo schema “lo psicologo e gli abusivi” e chi secondo lo schema “lo psicologo e la famiglia delle professioni di ambito psicologico”.
Ora io non posso sapere come andrà a Milano relativamente all’azione giudiziaria sull’articolo 21 del codice deontologico. E francamente non credo neppure che la questione sia così importante. Ad Altrapsicologia va comunque il merito di aver creato le condizioni per cui una questione scottante, ipocritamente tenuta nell’ombra per oltre dodici anni dalla classe dirigente precedente, diventasse terreno di scontro aperto all’interno della comunità. Psicologi contro psicologi. Ovvero certificazione di una crisi che sarebbe ingenuo pensare risolvibile da una sentenza. Di una crisi che fatalmente sarà portata oltre, che non potrà alla lunga non investire ambienti parlamentari.
Ed io credo che sia un bene che problemi di fondo di una comunità siano affrontati con chiarezza, ed anche con la necessaria determinazione e la necessaria durezza.
Per come conosco il mondo della psicologia professionale italiana gli psicologi ad oggi si occupano in prevalenza
1. di fare purtroppo (i giovanissimi) gli educatori (sostanzialmente gli “abusivi” rispetto ad una altrui professione)
2. di risorse umane (gestione, selezione, psicologia del lavoro etc.)
3. di formazione (con particolare riferimento alla formazione emotiva)
4. di psicologia giuridica
5. di attività clinica
6. di altre minori attività
Se l’articolo 21 venisse confermato nella lettura che ne da Altrapsicologia i clinici si sentirebbero un poco rassicurati (dall’idea che ci possa essere in giro meno concorrenza) e tutti gli altri, chi più chi meno, primi tra tutti i colleghi che operano nel settore della formazione, vedrebbero ridotte le loro opportunità di lavoro. Peraltro a favore proprio di quei Counselor che potrebbero prendere il posto degli psicologi nel settore formazione prima ed in altri settori poi.
Inoltre non si tratta solo di decidere se vietare di insegnare la psicologia ai non psicologi. Dietro questa tematica piuttosto rozza vi è una avversità di fondo verso la formazione, verso l’aggiornamento permanente, verso cioè tutto ciò che caratterizza una qualunque professione moderna in una qualunque parte dell’occidente. Per svilupparsi la professione necessita di scambi interprofessionali, di aggiornamento costante, di sistemi accreditatori, di reti, di contatti con ambiti professionali sia limitrofi che distanti. Insomma lo scontro non è su una norma, è su una visione, è uno scontro tra modelli diversi.
Ma scontro è. Chiaro, limpido. E questo è un passo avanti rispetto ad un passato in cui tali questioni non si affrontavano pensando che il silenzio e la dimenticanza favorissero il qiueto vivere.
Vedremo come andranno le cose, credo però che il metodo sia corretto e che in questo Milano possa fare da modello. Si è cercato un dialogo tra posizioni diverse, il dialogo si è arenato, si è finiti in Tribunale. qualunque cosa ne dirà il Tribunale il processo è innescato. Abbiamo avviato una chiarificazione. Volendo essere ottimista direi che solo partendo da posizioni chiare si possono eventualmente raggiungere compromessi seri.